The World's Famous Artifact - Tarots

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The Tarot deck is the most powerful artifact existing, mainly because it is made up of multiple artifacts. Every single card that constitutes it has properties that it can pass to the owner, making them more persuasive, skilled, lucky or agile depending on which card they use. Owning the whole deck means owning the world.

Manipulating it, however, is not easy. Even an extremely powerful Heka magician of the fifth level could go crazy.

The creation of the deck dates back to the Egyptian kingdom.

The pharaohs, always intrigued by magic, have used the services of Heka magicians for centuries. Over the years their requests turned into impositions, wages had dropped almost to zero, magicians weren’t more respected than a servant. And so they became. The pharaohs subjected them to their power by reducing them to slaves, partly out of fear of what they could have done if they had not been kept at bay, partly to obtain the artifacts that they refused to create. The kingdom of Egypt quickly reached its heyday: wherever the earth proliferated, enchanted objects of all kinds allowed a cultivation never seen before, the ruler itself began to assume divine traits for having brought his people so high.

But behind him, thousands of magicians were starving. Above all, after years of slavery, they were now reduced to skeletons with magical powers, and nobody cared to put them through challenges to see how powerful they were. So it happened that a fifth-level magician was born and no one noticed.

His name was Valdor, and he came into the world like all his brothers: in chains, with a mother who would leave him shortly after. Valdor grew up with an anger that prevented him from working well: all he thought about was destroying the kingdom that kept his family and his fellows under the yoke. However, the pharaoh under whom he grew up did not notice his incredible abilities.

The kingdom produced four times as much each year. The rest of the world traded with Egypt as if it were the navel of the Earth. The pharaoh himself dressed in clothes so sumptuous that a modern empress would turn pale. All he could want more was contained in a deck of cards: knowing the future.

The pharaoh entrusted him with cards made of thin gold, carved to form the figures of the Emperor, the Magician, and so on. A servant left the wrapper in his cell and told him to make them tell the future.

Valdor knew he had the chance to change the position of everyone he cared about most, and he didn't miss it.

He created the artifact that would kill Pharaoh and his family in two nights and a day. While he enchanted the paper that represented it, the moon glittered on the metal. In the silence of the night, he exposed it with his dirty hands to the white light, standing on his tiptoes. The residue of creation hung around the index and middle fingers, like a green and blue mist, and sank into the paper.

In the morning he was awakened by the kicks of a servant, who asked him for the cards. Valdor gave them to him, trying not to smile.

He had thought of counting the hours, but only minutes passed before the pharaoh went mad. Not being a Heka magician, he couldn't manage the power of the deck. He had become a slave to the cards, obeying their chaotic will. He had prostrated himself in the power of someone who had never left his cell. The mayhem did not stop there: the cards passed from hand to hand, desired as water in the desert, they created a terrible curiosity in each one, which they couldn’t resist. Because of the deck, thousands of powerless men died, and Valdor's plan worked.

Valdor and his people later escaped, and the boy created the first Lodge of Heka magicians in history. But at the end of his life, they were not left without a master. Again, they passed from hand to hand, which led to further destruction.

The survivors of a new massacre worked together to take away some of their power and they succeeded: the ability to enslave magicians bled green and blue from the deck, and sank into the Earth. After that, they decided to hide them. Although not half as dangerous as they were before, too many had lost their lives.

The cards stayed underground for a long time, but not forever. In hearing of the existence of an artifact capable of influencing the will of those around the owner, thirst, however natural, now developed in anyone.

The twentieth century came, and so did war. A section of the Nazi government heard of the legend and they began to research. That was how they surprisingly managed to influence the large amount of followers they got. But they lost the war, and the deck, in the hands of the American soldiers who they found him in the basement of Berlin, he ended up dispersed throughout the world by the Heka magicians enlisted in their ranks.

They put each card in the place that they believed represented the most, very far from each other. Every position and study to disperse the cards was not marked in English, but in the ancient Semitic language they spoke at the beginning, from the time of the pharaohs, mixed with that of the desert they had met later.

At that point, the legend ceased to be told, and few people still believed it. At least until two Heka magicians came looking for them.

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Il mazzo dei Tarocchi è l’artefatto più potente che esista, principalmente perché è costituito da più artefatti. Ogni singola carta che lo costituisce ha delle proprietà che può passare al possessore, rendendolo di volta in volta più persuasivo, abile, fortunato o agile. Possedere l’intero mazzo significa possedere il mondo sul palmo della mano.

Manipolarlo, però, non è semplice. Persino un mago di quinto livello, estremamente rari e potenti, potrebbe impazzire.

La loro creazione risale al regno Egizio.

I faraoni, da sempre incuriositi dalla magia,utilizzavano i servizi dei maghi Heka da secoli. Le loro richieste, nel corso degli anni, si erano trasformate in imposizioni, le paghe si erano abbassate, il rispetto verso i maghi era simile a quello per un servo. E così diventarono. Li sottomisero al loro potere riducendoli a schiavi, in parte per paura di quello che avrebbero potuto fare se non fossero stati tenuti a bada, in parte per ottenere anche gli artefatti che essi si rifiutavano di creare. Il regno d’Egitto in poco tempo raggiunse il suo periodo di maggior splendore: ovunque la terra proliferava, oggetti incantati di ogni tipo permettevano una coltivazione mai vista prima, lo stesso regnante iniziava ad assumere tratti divini per aver portato così in alto il proprio popolo.

Ma dietro di lui, migliaia di maghi morivano di fame. Normalmente, venivano tenuti lontano dalle fonti di residuo di creazione, ma non sempre. Soprattutto, dopo anni di schiavitù, quando erano ormai ridotti a scheletri con poteri magici, nessuno controllava più quanto fossero potenti. Così accadde che nascesse un mago di quinto livello e nessuno se ne accorse.

Il suo nome era Valdor, e venne al mondo come tutti i suoi fratelli: in catene, con una madre che l’avrebbe lasciato poco dopo. Valdor crebbe con una rabbia che gli impediva di lavorare bene: tutto ciò a cui pensava era distruggere il regno che teneva la sua famiglia e i suoi simili sotto il giogo. Ad ogni modo, il faraone sotto cui crebbe non si accorse delle sue incredibili capacità e gli affidò un compito così semplice da sembrare un insulto. Il regno produceva quattro volte tanto ogni anno. Il resto del mondo commerciava con l’Egitto come se fosse l’ombelico della Terra. Il faraone stesso vestiva con abiti così sfarzosi da far impallidire una moderna imperatrice. Tutto ciò che poteva volere di più era racchiuso in un mazzo di carte: conoscere il futuro.

Gli affidò delle carte fatte d’oro sottile, intagliate a formare le figure dell’ Imperatore, il Bagatto, e così via. Un servo lasciò l’involucro nella sua cella e senza una parola se ne andò.

Valdor sapeva di avere avere la possibilità di cambiare la posizione di tutti coloro a cui teneva di più, e non la perse.

Creò l’artefatto che avrebbe ucciso il faraone e la sua famiglia nel giro di due notti e un giorno. La luna scintillava sul metallo, mentre lui incantava la carta che la raffigurava. Nel silenzio della notte, la espose con le mani sporche alla luce bianca, tenendosi in punta di piedi. L’indice e il medio, attorno ai quali aleggiava il residuo, come una nebbiolina verde e azzurra, affondò nella carta.

La mattina fu svegliato dai calci di un servo, che gli domandava le carte. Valdor gliele diede, cercando di non sorridere.

Aveva pensato di contare le ore, ma passarono al massimo

dei minuti prima che il faraone impazzisse. Non essendo un mago Heka, non poteva resistere al potere dei tarocchi. Era diventato schiavo delle carte, obbedendo alla loro caotica volontà. Si era prostrato al potere di qualcuno che non era mai uscito dalla cella. Il disordine non si fermò lì: le carte passavano di mano in mano, desiderate come acqua nel deserto, creavano una curiosità terribile in ciascuno, che non sarebbe più riuscito a resistere. Per colpa del mazzo, morirono migliaia di senza-poteri, e il piano di Valdor funzionò.

Grazie alle carte, che poteva gestire soltanto lui, il ragazzo creò la prima Loggia di maghi Heka della storia. Ma alla fine della sua vita, non rimasero senza un padrone. Di nuovo, passarono di mano in mano, e ciò portò ad altra distruzione.

I sopravvissuti ad una nuova strage lavorarono insieme per togliere parte del loro potere e ci riuscirono: la capacità di rendere i maghi schiavi uscì sanguinando dal mazzo verde e azzurra, e sprofondò nella Terra. Fatto ciò, decisero di nasconderle. Nonostante non fossero pericolose nemmeno per la metà di quanto lo fossero prima, troppi avevano perso la vita.

Le carte rimasero sottoterra a lungo, ma non per sempre. Nell’udire dell’esistenza di un artefatto in grado di influenzare la volontà di chi sta attorno al possessore, la sete, per quanto naturale, adesso, si sviluppava in chiunque.

Venne il secolo XX, e la guerra. Una sezione del governo nazista udì della leggenda e iniziarono a fare ricerche. Fu in quel modo che riuscirono, sorprendentemente, a influenzare la grande quantità di seguaci che ottennero.

Ma persero la guerra, e il mazzo, in mano ai soldati americani che lo ritrovarono nei sotterranei di Berlino, finì disperso per il mondo dai maghi Heka arruolati nelle loro fila. Misero ogni carta nel posto che secondo loro rappresentava maggiormente, ad una distanza tale da non poter essere mai rintracciati. Ogni posizione e studio per disperdere la carte non veniva segnata in inglese, ma nella antica lingua semitica che parlavano all’inizio, dai tempi dei faraoni, mischiata a quella del deserto che avevano incontrato in seguito.

A quel punto, la leggenda cessava di essere raccontata, e in pochi continuavano a crederci. Almeno, finché due maghi Heka non tornarono a cercarli.